Reviews
Blues Blast Magazine (USA)
Recensione di Colin Campbell // luglio 2017
This is the second release from this multi talented and multi instrumental duo from Italy, The Gutbuckets. It follows on from their crowdfunded debut Kick Out The Lomax in 2014. The Gutbuckets are Mario Evangelista and Antonio Speciale. Their musical influences are varied with blues as the root but they add old style Ragtime music, Dixieland and even Appalachian Folk to their vast repertoire. Short on length but full on style and delivery this is a very uplifting and enjoyable release that will definitely put a smile on the listener’s face. They have enthusiasm in abundance and watching their online videos there is not a lot of difference between the studio production and live takes.
Mario shares vocals throughout and he mimics a drawlin’ down South accent on a lot of thetunes. He plays mandolin , acoustic guitar , resophonic guitar , kazoo and spoons. Antonio plays acoustic guitar,stompbox,banjo and kazoo. There are influences of Mississippi john Hurt and Robert Johnson in his vocals and guitar playing.
“Bring Back The Bush” sets the tone, with a song written by the band encompassing quirky lyrics and duelling mandolin and banjo. “Sadie Green” has that lazy New Orleans take on an old Memphis Jug Band song with fine trumpet accompaniment by Valerio Mazzoni. Another cover of Charlie Poole’s “It’s Moving Day” has some fine vintage banjo picking on it and plenty hollering. There is again a traditional take to “Weed Smoker’s Dream” with jazzy down and dirty tones.
The title track “Gasfire Rag” is a lilting smooth instrumental with an Italian narrative and a focus on kazoos and guitar work, a musical interlude perhaps a stop for breath, such is the pace of this release. “Sister Kate” is an uptempo cover written in 1919 by jazz pianist Clarence Williams and was also popular with Louis Armstrong. This is an excellent track to dance to, full of twists and shakes.
The original “Walkin’ In The Kitchen” is a ragtime romp with a resonating chorus. “Hipster Gal”, written by a band associate J.B. Tripoli, is a slide driven laid back ballad. The mandolin strings introduce “Rose Connolly” another hollering folk tale capturing the feel of an Irish traditional folk tale but has roots in the Appalachian style. This is actually an old murder ballad about a man facing the gallows for killing his lover by poisoning her wine and then throwing her into a river. The delivery of this tune is cunningly disguised in the arrangement. “You May Leave” is another traditional tune of sweet notes and shows the craftsmanship of fine tight duo. The last two tracks are originals and best on the release “My Sweet Mary”a slow acoustic ballad with fine harmonies. “That’s Our Blues” the longest track, finishes on a sleazy laid back note leaving the listener wanting more.
This is a well crafted release full of short bursts of very witty prose and eclectic mix of traditional songs from two front men who really know their subject matter. A release full of emotion and toe tapping tunes, a real joy to behold that keeps up with tradition.
http://www.bluesblastmagazine.com/the-gutbuckets-gas-fire-rag-album-review/
Rockit
Recensione di Antonio Romano per Rockit // luglio 2017
“Perché esistono la musica jass e di conseguenza le jass band? È lo stesso che chiedersi il perché dei romanzi tascabili o della gomma da masticare. Sono tutte manifestazioni di cattivo gusto, un gusto che non è ancora stato depurato dalla civiltà”.
Esordiva così un giornalista che volle restare anonimo in un famoso articolo comparso sul “Times” di New Orleans il 20 giugno del 1918. Lo scritto, una fervente difesa dei valori morali dalla White America, continuava poi tuonando che “la musica jass è la storia sincopata e contrappuntata dell’impudicizia” e concludeva che fosse quindi necessario debellare “queste sconcezze nell’ambito di un consorzio civile”.
Cent’anni dopo, lungi dall’essere state prosciugate, queste acque fangose sono ancora la fonte ideale alla quale si recano ad abbeverarsi artisti da tutto il mondo, tra i quali i fiorentini Gutbuckets, duo composto da Mario Evangelista e Antonio Speciale.
Cresciuti e tutt’ora attivi entrambi nell’underground musicale italiano con diverse formazioni, con questo progetto approfondiscono il folclore roots americano, in particolar modo lo stile che i musicologi definiscono pre-War blues, quello dei primi decenni del ‘900.
Dopo il buon esordio del 2014 all’insegna del country blues, in questo secondo lavoro la loro ricerca stilistica ed estetica si immerge ancora più nelle frattaglie della musica nera e creola americana, precisamente nel jazz delle origini, nel dixieland e nel ragtime.
“Gasfire Rag” è un lavoro curato e rifinito con tensione filologica e passione divulgativa, sia nei brani reinterpretati che in quelli autografi, tutti del medesimo livello qualitativo.
L’ascolto colpisce, infatti, non solo nell’esecuzione e nella scelta stessa di alcuni classici misconosciuti –tra cui quella “Weed Smoker’s Dream” pubblicata per la prima volta nel 1936 dagli Harlem Hamfats, “You May Leave” della Memphis Jug Band datata 1930 o la ballata appalachiana di retaggio irlandese “Rose Connolly”- ma anche, soprattutto direi, per lo studio accurato delle tecniche vocali e l’attenzione al dettaglio nella strumentazione dell’epoca: chitarra acustica, slide, kazoo, banjo, mandolino, dobro, stompbox, tutti patrimonio della tradizione povera proto-jazz, e l’uso stesso della voce dialogano nei diversi pezzi riproponendo e rinnovando le atmosfere ed i suoni delle vecchie scricchiolanti gommalacche.
Un disco ispirato, profondo e sentito da parte del duo toscano, frutto evidente di anni di dedizione ed applicazione alla materia trattata, che, vecchia di un secolo ma eterna come il pulsare del ritmo, fa suonare ancora fresca e divertente.
https://www.rockit.it/recensione/37845/thegutbuckets-gasfire-rag
Il Popolo del Blues
Recensione di Stefano Tognoni // luglio 2017
The Gutbuckets sono un duo composto da Mario Evangelista (voce, mandolino, dobro, chitarra acustica, kazoo, cucchiai) e Antonio Speciale (voce, chitarra acustica, banjo, kazoo, stompbox). La loro musica si ispira al blues delle radici (anni ’20 e ’30), contaminato con il ragtime, il dixieland e il folk. Gasfire Rag è il loro secondo cd, e segue di un paio di anni il precedente Kick out the Lomax. Gasfire Rag è composto da 12 tracce, equamente divise tra originali e brani presi in prestito dalla tradizione afroamericana. Originali e riproposizioni hanno il pregio di amalgamarsi alla perfezione rendendo omogeneo e coerente l’ascolto, grazie soprattutto alla valenza dei brani composti ex novo che non sfigurano assolutamente nei confronti dei classici. Alla registrazione hanno collaborato altri validi musicisti che hanno ampliato la gamma delle sonorità proposte, pur senza perdere di vista il rispetto e l’ispirazione derivata dalle sonorità tipiche dei primi decenni del novecento. Citazione doverosa quindi per Valerio Mazzoni (tromba), Maurizio Costantini (contrabbasso) e Antonio Scioli (tuba). Gasfire Rag è stato realizzato grazie anche al contributo della regione Toscana per il “Progetto 100 band” ed è un album di ottimo livello, gradevole ed accattivante dalla prima all’ultima traccia
http://www.ilpopolodelblues.com/wp/2017/07/the-gutbuckets-gasfire-rag/
La scoperta dell’America // Kick Out The Lomax
Recensione di Pike Borsa sul mensile Musica Jazz di luglio 2015
In cerca dell’America si sono mossi anche i Gutbuckets, cioè Antonio Speciale e Mario Evangelista, e c’è da dire che, pur rimanendo dalle nostre parti, l’hanno trovata pure loro. Per questo frizzante e solare «Kick Out The Lomax» i due hanno preso una manciata di classici (su tutti St. James Infirmary) da far conoscere o riscoprire. Non ci si aspetti una grande rivoluzione: solo il piacere di mettersi seduti ad ascoltare un album suonato bene, con cuore e sentimento.
The Gutbuckets // Kick Out The Lomax
Recensione di Massimo Giuntini su www.blogfoolk.com // 14 aprile 2015
Un grazie sincero a Massimo, stupendo musicista e persona di grande sensibilità.
Provateci voi, se pensate che sia facile. The Gutbuckets sono un duo di chitarristi/cantanti che si cimentano nel rifacimento del reprtorio afroamericano degli anni Venti e Trenta. Niente che qualcuno non abbia già fatto prima, direte voi. Invece no. Innanzitutto bisogna segnalare, come si evince anche dal titolo, che tutto il lavoro è fortemente ispirato ad Alan Lomax, il grande etnomusicologo americano che per primo si dedicò a creare archivi musicali di musica popolare, in America ma anche in Irlanda e altrove. E allora uno si aspetterebbe anche un disco di quelli rigorosi ma freddini, visto e considerato poi che i due musicisti in questione non vengono dal delta del Mississippi ma abitano a Firenze. Ascoltando il disco invece ci troviamo davanti ad un’opera davvero notevole, in cui il suono ti catapulta indietro nel tempo, a partire dalla iniziale “Blue Eyed Mama” che ha il potere di predisporre subito il tuo animo all’ascolto del resto dell’album con un sorriso di compiacimento, che non si spegne neanche davanti alla ciondolante e nerissima “St.James Infirmary Blues”con il suo testo tragico. La vera e propria chicca è però costituita dall’uso delle voci: intanto ottima anche la pronuncia dell’inglese, cosa affatto scontata in Italia, soprattutto è chiara ed evidente l’enorme influenza dei Beatles nella storia musicale dei nostri due protagonisti (che per inciso rispondono ai nomi di Mario Evangelista ed Antonio Speciale), sentire per credere “On The Road Again”, la quale da oggi in poi per il sottoscritto diventa la versione blues di “O-bla-di O-bla-da” senza nemmeno sfigurare! Davvero rimarchevole anche la parata di strumenti sciorinata con grande capacità dai nostri: mandolino, chitarre, dobro, banjo, kazoo e tutto quello che evoca sentieri polverosi e paludosi e quello strano buco nell’anima che ha solo chi suona il blues vero ed autentico come quello di “Cocaine Habit Blues” o di “Hard Times Killing Floor”. Un cd bello, divertente e serio al tempo stesso, professionalmente ineccepibile, incredibilmente prodotto da due italiani che hanno dentro di sè la chiave di volta per raggiungere livelli altissimi: la passione vera. Provateci voi. Il disco è distribuito tramite il sito ufficiale del uo www.gutbuckets.it ed in digitale su tutti gli store on line (iTunes, Amazon).
Leggete l’originale seguendo il link
“Kick Out The Lomax”: The Gutbuckets da nord a sud e ritorno.
di Ferdinando D’urso. Dal blog Arti e Mestieri // 14 dicembre 2014
Durante il New Deal, l’etnomusicologo statunitense Alan Lomax cominciò a viaggiare per il Paese registrando interviste e performance musicali di artisti – professionisti e dilettanti – legati alla musica folk. Conservato su dischi di alluminio e acetato, il lavoro di Lomax confluì nel fondo apposito della Library of Congress fino al 1942, anno in cui il Governo tagliò i fondi per la ricerca e la collezione del materiale musicale folklorico degli Stati Uniti. L’opera di Lomax ci ha permesso di conoscere, dalla viva voce degli interpreti, un genere musicale che diversamente sarebbe stato impossibile inquadrare a pieno a causa della – potremmo dire anche grazie alla – sua ontologia profondamente ancorata all’oralità.
Certo, queste ricerche sono state il punto di partenza per The Gutbuckets – duo formato dai chitarristi Antonio Speciale e Mario Evangelista – che nella loro opera prima “Kick Out the Lomax” hanno esplorato il repertorio folk americano, in particolare proprio quello del ventennio interessato dall’attività dell’etnomusicologo.
Il duo, oltre ad essere costituito da ottimi musicisti, ha come caratteristica il gusto per la ricerca filologica nell’esecuzione delle canzoni; il suono globale della registrazione, i timbri utilizzati (chitarre, mandolini, kazoo, cucchiai, banjo, grattugie), le pronunce dei testi sono studiati per restituire all’ascoltatore un prodotto che sia il più fedele possibile all’originale. Non potrebbe essere diversamente.
Antonio Speciale è un profondo conoscitore degli stili chitarristici e vocali folk del meridione degli Stati Uniti; Mario Evangelista, da canto suo, accoppia alla carriera di musicista quella di musicologo (è autore, fra l’altro, di un interessante lavoro su Sylvano Bussotti dal titolo Teatri Nascosti: gesto segno e drammaturgia nell’opera di Sylvano Bussotti) mostrandoci un esempio maturo di come la conoscenza accademica si possa riversare nella pratica arricchendola. Persino la grafica – semplice, fumettistica e spiritosa – riporta alla mente alcuni stilemi tipici della retorica blues e folk, fra i quali il macabro crocevia al quale i nostri due artisti hanno incontrato un buffo diavolo.
Le canzoni confluite nell’album sono tutte grandi classici (basterà forse citare su tutte St. James Infirmary) ma possono costituire una gradevolissima sorpresa per il grande pubblico che, soprattutto in Italia, non ha molte occasioni di confrontarsi con l’ascolto di questo genere e certamente scarsissime di farlo con questa qualità.
Una volta ebbi modo di sentire che il blues è come un medico: può tirarti su o abbatterti del tutto con quello che dice. La musica contenuta in “Kick Out the Lomax”, in un momento così buio della nostra storia politico-economica, se forse non può portare l’allegria potrà di certo confortarci così come ha fatto fra gli anni Venti e Quaranta in America.